Diacceto: la sua storia...
Maurizio è un amico diaccetano DOC e da quanto ama Diacceto ha scritto un libro: Maurizio Fabbrucci - DIACCETO E LA COLLINA TRA IL SIEVE E IL VICANO DI PELAGO - Editrice FIRENZE LIBRI
Pensando di fare cosa gradita a Diacceto e a lui stesso, mi sono permesso di riportare qui sotto solo l'inizio del suo libro, per farvi capire dove si trova Diacceto.
Chi ne volesse sapere di più, può andare in libreria e chiedere del libro, o venire a trovarmi.
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Come tutti sanno, il fiume Arno attraversa buona parte della Toscana lambendo molte città, paesi e campagne durante il suo percorso. Nasce sul Monte Falterona e subito scende nella valle del Casentino. Da limpido ruscello che si apre la strada fra le rocce e riceve le acquedei corsi montani, nelle prime cittadine che incontra, diviene un fiume carico di difetti. Qui nei pressi di Arezzo svolta deciso dirigendosi verso nord procedendo nella vallata del Valdarno Superiore per varie decine di chilometri. All'altezza di Pontassieve volge il suo corso verso ovest e prosegue in quella direzione acquistando accelerazione. Quest'ultima svolta avviene quasi in concomitanza con lo sbocco del suo maggior affluente (di destra): il Sieve. Questo fiume raccoglie le acque del bacino del Mugello e, poi, della Val di Sieve finché defluisce in Arno.
Il corso dell'Arno a monte di Firenze è inghirlandato dal paesaggio tipicamente appenninico fatto di montagne addolcite dal tempo come, appunto, il massiccio del Falterona, l'Alpe di Catenaia e il Pratomagno. Quest'ultimo baluardo fa da spartiacque tra la vallata del Casentino e quella del Valdarno Superiore tanto che il fiume ne fa un giro ad U.
La zona del Pratomagno è verde di foreste e prati, raramente offre profili aspri o scoscesi; la linea cresta-cresta non scende quasi mai al di sotto dei 1.000 metri e difficilmente ne supera i 1.300. Da questo massiccio scendono torrenti e ruscelli, o fossi come son detti localmente i corsi d'acqua a regime stagionale ed irruente; i fianchi del Pratomagno sono incisi in crinali con caratteristiche proprie che scendono nelle valli maggiori come radici infisse nel terreno e tutte provenienti da un unico tronco.
Nella parte nord del massiccio si trovano, in forma susseguente, il Monte Secchieta (1.360 m. s.l.m.) ed il Poggio Tesoro (1.230 m.) i quali formano una loro concatenazione che si estende dal Valico di Reggello al Passo della Consuma (1.050 m.).
Relativamente vicino al Passo della Consuma nascono, a poca distanza uno dall'altro, il Torrente Rufina ed il Vicano di Pelago: il primo affluente del Sieve, il secondo dell'Arno. Il crinale delimitato da questi due torrenti è frastagliato da vallette laterali e degrada verso la confluenza dei due fiumi maggiori in dolce pendio interrotto da ampi falsipiani; solo una piccola parte del crinale, soprattutto nelle vicinanze del Sieve, prende la caratteristica della vera e propria scarpata.
A circa metà di questo crinale, a cavallo delle linee di spartiacque e quella di quota 500 m. si trova il minuscolo paese di Diacceto, il suo popolo ed il suo territorio parrocchiale.
In origine questa terra si trovava ai margini dei grandi laghi del Mugello, Valdarno e Casentino i quali, svuotati d'acqua e riempiti di sedimenti formarono le relative pianure nei secoli fra il Pleistocene Superiore e l'Olocene; questa zona si innalzò decisamente durante le epoche preistoriche del Miocene e del Quaternario Antico. Alcuni ritrovamenti fossili paiono avvalorare l'ipotesi che la nostra zona godesse allora di un clima caldo ed umido quale l'attuale foresta equatoriale con relativa flora e fauna.
Il popolo (antica suddivisione territoriale ecclesiastica tuttora in uso) di S. Lorenzo a Diacceto fa parte della Diocesi di Fiesole e confina con i popoli di: S. Clemente a Pelago, S. Pietro a Ferrano, S. Margherita a Tosina, S. Giusto a Falgano e S. Martino a Bibbiano.
Amministrativamente Diacceto è frazione del Comune di Pelago che è, a sua volta, parte della Comunità Montana Zona E (U.S.L. n0 11) nell'ambito della Provincia di Firenze.
La distanza stradale, con Pelago è di poco inferiore ai 3 Km. mentre la distanza con Firenze è valutata in 22 Km. col centro e 18 Km. con la periferia della città.
Quando si nomina Diacceto la maggioranza degli ascoltatori crede che sia una derivazione dell'aggettivo toscano "diaccio" che significa freddo, inteso assai più frequentemente nel significato del sostantivo "ghiaccio". Considerando il clima invernale, tipico del luogo, queste persone hanno sicuramente una parte di ragione anche se la vera etimologia di questo toponimo è un po' più complessa. Vi sono due tesi diverse per spiegare l'origine di questo nome e le riportiamo entrambe perché ognuna di esse è ascoltata ed accettata da grossi studiosi di storia locale.
Questo luogo avrebbe preso il nome dai Conti siciliani De Aceto, che alcuni vorrebbero identificare coi Cattani, che qui apposero la loro residenza nei primi anni del secolo mille; da De Aceto a Diacceto il passo è breve per assonanza dovuta a corruzione popolaresca intuibile. Il cammino di detta corruzione è così ripercorso: De Aceto - degli Aceto - di Aceto - Diaceto - Diacceto.
La seconda teoria porta la genesi del toponimo ad un'epoca più lontana e precisamente a quando i Romani vi impiantarono una minima Stazione di Posta, e forse un luogo di tappa non presidiato, lungo la strada del Casentino e che chiamarono Glacentum, ossia luogo ove trascorrere la notte all'addiaccio. Esso era solo uno spiazzo con una staccionata intorno e con una tettoia in un angolo. Così appare pura fantasia far discendere il nome romano dalla sensazione di freddo provata a causa del vento o a causa della presenza di alcune grotte dove veniva stivata la neve per poi, in estate, ricavarne barre di ghiaccio. In epoca medievale il nome latino è già deformato in Ghiacceti e così appare scritto sui documenti ufficiali e nel titolo degli Statuti della Lega. Il nome odierno, appare per la prima volta nel Titolo degli Statuti della Podesteria emessi nei primi anni del XVI secolo.
Lo stemma che accompagna il nome del paese sui documenti è quello ancora usato per rappresentare la Comunità di Pelago ed è assegnato come arma dei Cattani.
L'arma è divisa in due parti sovrapposte. Parte Superiore: campo nero a palo bianco con una torre in pietra al naturale murata di nero, menata alla guelfa ed aperta sul campo. Due stellette in argento ai lati della stessa. La simbologia è chiara: la torre rappresenta l'avito Castello diaccetano dei Cattani e le due stellette rappresentano i due maggiori possedimenti di quella famiglia, ossia Diacceto e Pelago. Parte Inferiore: essa è totalmente dedicata all'arma dei Cattani. Contiene un leone rampante scambiato nero in oro ed oro in nero unghiato e linguato in rosso e traversato di lambello a quattro denti in rosso e rivolto verso sinistra.
Tale stemma, eseguito su pietra serena e deteriorato dal tempo, si trova anche murato in un angolo esterno dell'attuale Villa Tozzi.
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Grazie Maurizio