Parola di vita - 1999

Gennaio Presente fra noi "Dio abiterà con loro; essi saranno il suo popolo" (cf Ap 21,3).
Febbraio Segni d'una presenza "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).
Marzo La morte non è la fine "Io sono la risurrezione e la vita" (Gv 11,25).
Aprile

La Porta

"Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo" (Gv 10,9).
Maggio La luce s'accende con l'amore "Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui" (Gv 14,21).
Giugno Chi perde trova "Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà" (Mt 10,39).
Luglio La Perla Il regno dei cieli é simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra" (Mt 13, 45-46).
Agosto Egli mantiene le promesse "E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45).
Settembre Quanto perdonare "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette" (Mt 18,22).
Ottobre L'hai fatto a me "Amerai il prossimo tuo came te stesso" (Mt 22,39).
Novembre L'amore che purifica "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio" (Mt 5,8).
Dicembre Ma lui può "Nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,37).

 

 

Parola di vita – Gennaio 1999

Presente fra noi


"Dio abiterà con loro; essi saranno il suo popolo" (cf Ap 2J,3).

    A gennaio, in molte parti del mondo, i cristiani celebrano insieme la loro comune fede
con preghiere e incontri speciali. Il tema scelto per la Settimana a ciò specialmente dedicata è tratto dall'Apocalisse. Leggiamolo per intero:
    "Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro". E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate" (1).
    La Parola di Dio di questo mese ci interpella. Se vogliamo essere parte del suo popolo dovremo lasciarlo vivere fra noi.
    Ma come è possibile questo, e come fare per pregustare un po', fin da questa Terra, quella gioia senza fine che verrà dalla visione di Dio?
    È proprio questo che Gesù ci ha rivelato, è proprio questo il senso della sua venuta: comunicarci la sua vita d'amore col Padre, perché anche noi la viviamo.
    Già da ora noi cristiani potremo vivere questa frase ed avere Dio fra noi. Averlo fra noi richiede, come affermano i Padri della chiesa, certe condizioni. Per Basilio è vivere secondo la volontà di Dio, per Giovanni Crisostomo è l'amare come Gesù ha amato, per Teodoro Studita è l'amore reciproco, e per Origene è l'accordo di pensiero e di sentimenti per giungere alla concordia che "unisce e contiene il Figlio di Dio". Nell'insegnamento di Gesù c'è la chiave per far sì che Dio abiti fra noi: "Amatevi l'un l'altro come io ho amato voi" (2). E l'amore reciproco la chiave della presenza di Dio. "Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi" (3) perché: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (4), dice Gesù.

"Dio abiterà con loro; essi saranno il suo popolo".

    Non è dunque così lontano e irraggiungibile quel giorno che segnerà il compimento di tutte le promesse dell'Antica Alleanza: "In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo" (5).
    Tutto si avvera già in Gesù che continua, al di là della sua esistenza storica, ad essere presente fra coloro che vivono secondo la nuova legge dell'amore scambievole, quella norma cioè che li costituisce popolo, il popolo di Dio.
    Questa Parola di vita è dunque un richiamo pressante, specie per noi cristiani, a testim6niare con l'amore la presenza di Dio. "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (6). Il comandamento nuovo così vissuto pone le premesse perché si attui la presenza di Gesù fra gli uomini.
    Nulla possiamo fare se questa presenza non è garantita, presenza che dà senso alla fraternità soprannaturale che Gesù ha portato sulla Terra per tutta l'umanità.

"Dio abiterà con loro; essi saranno il suo popolo".

    Ma spetta soprattutto a noi, cristiani, pur appartenendo a diverse comunità ecclesiali, di dare al mondo spettacolo di un solo popolo fatto di ogni etnia, razza e cultura, di grandi e di piccoli, di malati e di sani. Un unico popolo del quale si possa dire, come dei primi cristiani: "Guarda come si amano e sono pronti a dare la vita l'uno per l'altro".
    E' questo il "miracolo" che l'umanità attende per poter sperare ancora e un contributo necessario al progresso ecumenico, al cammino verso l'unità piena e visibile dei cristiani. E' un "miracolo" alla nostra portata, o meglio, di Colui che, abitando fra i suoi uniti dall'amore, può cambiare le sorti del mondo, portando l'umanità intera verso l'unità.

1) Ap 21,3; 2) ef Gv 13,34; 3) 1 Gv 4,12; 4) Mt 18,20; 5) Ez 37,27; 6) Gv 13,35.

Top

Parola di vita – Febbraio 1999

Segni d'una presenza

"Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).

    Se tu sei credente hai una funzione da svolgere nei confronti degli altri, di coloro che non conoscono Dio.
    Il cristiano, infatti, non può sfuggire il mondo, nascondersi, o considerare la religione un affare privato.
    Egli vive nel mondo perché ha una responsabilità, una missione di fronte a tutti: essere la luce che illumina.
    Anche tu hai questo compito, e, se così non farai, la tua inutilità è come quella del sale che ha perso il suo sapore o come quella della luce che è divenuta ombra.

"Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che e nei cieli".

    La luce si manifesta nelle "opere buone". Essa risplende attraverso le opere buone che compiono i cristiani.
Mi dirai: ma non solo i cristiani compiono opere buone. Altri collaborano al progresso, costruiscono case, promuovono la giustizia...
    Hai ragione. Il cristiano certamente fa e deve fare anche lui tutto questo, ma non è questa la sua funzione specifica. Egli deve compiere le opere buone con uno spirito nuovo, quello spirito che fa sì che non sia più lui a vivere in se stesso, ma Cristo in lui.
    L'evangelista, infatti, non pensa solo a degli atti di carità isolati (come visitare i prigionieri, vestire gli ignudi o come tutte le opere di misericordia attualizzate alle esigenze di oggi), ma pensa all'adesione totale della vita del cristiano alla volontà di Dio, così da fare di tutta la propria vita un'opera buona.
    Se il cristiano fa così, egli è "trasparente" e la lode che si darà per quanto compie non arriverà a lui, ma a Cristo in lui, e Dio, attraverso di lui, sarà presente nel mondo. Il compito del cristiano è dunque lasciar trasparire questa luce che lo abita, essere il "segno" di questa presenza di Dio fra gli uomini.

"Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che e nei cieli".

    Se l'opera buona del singolo credente ha questa caratteristica, anche la comunità cristiana in mezzo al mondo deve avere la medesima specifica funzione: rivelare attraverso la sua vita la presenza di Dio, che si manifesta là dove due o tre sono uniti nel suo nome, presenza promessa alla chiesa fino alla fine dei tempi.
    La chiesa primitiva dava grande rilievo a queste parole di Gesù. Soprattutto nei momenti difficili, quando i cristiani venivano calunniati, allora li esortava a non reagire con la violenza. Il loro comportamento doveva essere la migliore confutazione del male che si diceva contro di loro.
    Si legge nella lettera a Tito: "Esorta i più giovani ad essere assennati, offrendo te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire sul conto nostro"(1).

"Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli".

    E' la vita cristiana vissuta che è luce anche al giorno d'oggi per testimoniare Dio.
    Ti narro un fatterello.
    Antonietta è sarda, ma per lavoro s'è portata in Francia. E impiegata in un ufficio dove molti non hanno voglia di lavorare. Poiché è cristiana e vede in ciascuno Gesù da servire, aiuta tutti ed è sempre calma e sorridente. Spesso qualcuno si arrabbia, alza la voce e si sfoga con lei, prendendola in giro: "Giacché hai voglia di lavorare, prendi, fa' anche il mio lavoro!".
    Lei tace e sgobba. Sa che non sono cattivi. Probabilmente ognuno ha i suoi crucci.
    Un giorno il capufficio va da lei mentre gli altri sono assenti e le chiede: "Ora mi deve dire come fa a non perdere mai la pazienza, a sorridere sempre". Lei si schermisce dicendo: "Cerco di stare calma, di prendere le cose dal verso buono".
    Il capufficio batte un pugno sulla scrivania ed esclama: "No, qui c'entra Dio sicuramente, altrimenti è impossibile! E pensare che a Dio io non ci credevo!".
    Qualche giorno dopo Antonietta è chiamata in direzione, dove le dicono che sarà trasferita in un altro ufficio "affinché  continua il direttore - lo trasformi come ha fatto con quello dov'è ora".

"Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli".

1) Tt 2,6-8

Top

Parola di vita – Marzo 1999

La morte non è la fine

"Io sono la risurrezione e la vita" (Gv 11,25).

    Gesù pronunciò queste parole in occasione della morte di Lazzaro di Betania, che poi egli al quarto giorno risuscitò. Lazzaro aveva due sorelle: Marta e Maria.
    Marta, appena seppe che arrivava Gesù, gli corse incontro e gli disse: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". Gesù le rispose: "Tuo fratello risusciterà". Marta replicò: "So che risusciterà nell'ultimo giorno". E Gesù dichiara: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno".
    Gesù vuol fare intendere chi egli è per l'uomo. Gesù possiede il bene più prezioso che si possa desiderare: la Vita, quella Vita che non muore.
    Se hai letto il Vangelo di Giovanni, avrai trovato che Gesù ha pure detto: "Come il Padre ha la Vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la Vita in se stesso" (1).
    E poiché Gesù ha la Vita, la può comunicare.
    Anche Marta crede alla risurrezione finale: "So che risusciterà nell'ultimo giorno".
    Ma Gesù, con la sua affermazione meravigliosa: "Io sono la risurrezione e la vita", le fa capire che non deve attendere il futuro per sperare nella risurrezione dei morti. Già adesso, nel presente, egli è per tutti i credenti, quella Vita divina, ineffabile, eterna, che non morirà mai.
    Se Gesù è in loro, se egli è in te, non morirai. Questa Vita nel credente è della stessa natura di Gesù risorto e quindi ben diversa dalla condizione umana in cui si trova.
    E questa straordinaria Vita, che già esiste anche in te, si manifesterà pienamente nell'ultimo giorno, quando parteciperai, con tutto il tuo essere, alla risurrezione futura.
    Certamente Gesù con queste parole non nega che ci sia la morte fisica. Ma essa non implicherà la perdita della Vita vera. La morte resterà per te, come per tutti, un'esperienza unica, fortissima e forse temuta. Ma non significherà più il non senso di un'esistenza, non sarà più l'assurdo, il fallimento della vita, la tua fine. La morte, per te, non sarà più realmente una morte.

"Io sono la risurrezione e la vita".

    E quando è nata in te questa Vita che non muore?
    Nel battesimo. Lì, pur nella tua condizione di persona che deve morire, hai avuto da Cristo la Vita immortale. Nel battesimo, infatti, hai ricevuto lo Spirito Santo che è colui che ha risuscitato Gesù.
    E condizione per ricevere questo sacramento è la tua fede, che hai dichiarato attraverso i tuoi padrini. Gesù, infatti, nell'episodio della risurrezione di Lazzaro, parlando a Marta, ha precisato: "Chi crede in me, anche se muore vivrà" (...) "Credi tu questo?"(2).
    "Credere", qui, e un fatto molto serio, molto importante: non implica solo accettare le verità annunciate da Gesù, ma aderirvi con tutto l'essere.
    Per avere questa vita, devi dunque dire il tuo sì a Cristo. E ciò significa adesione alle sue parole, ai suoi comandi: viverli. Gesù lo ha confermato: "Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte" (3).
    E gli insegnamenti di Gesù sono riassunti nell'amore.
    Non puoi, quindi, non essere felice: in te è la Vita!
    In questo periodo in cui ci si prepara alla celebrazione della Pasqua, aiutiamoci a fare quella sterzata, che occorre sempre rinnovare, verso la morte del nostro io perché Cristo, il Risorto, viva sin d'ora in noi.

1)Cfr Gv 5,26; 2) Gv 11,26; 3) Gv 8,51.

Top

Parola di vita – Aprile 1999

La porta

"Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo" (Gv 10,9).


    Per coloro che ascoltavano Gesù l'immagine della porta era familiare, dal sogno di Giacobbe, alla Gerusalemme dalle porte antiche che Dio ama in modo particolare. Ma sono le parole del Salmo 118, 20: "E questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti" che Gesù fa sue, dando ad esse una nuova pienezza di significato. Egli è la porta della salvezza, che introduce ai pascoli dove i beni divini sono liberamente offerti. Egli è l'unico mediatore e per mezzo suo gli uomini hanno accesso al Padre. "Egli è la porta del Padre - dice Ignazio d'Antiochia - attraverso la quale entrano Abramo e Isacco e Giacobbe e i profeti e gli apostoli e la chiesa".

"Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo".

    Sì, l'immagine della porta doveva far breccia nel cuore degli ebrei che, varcando quella della Città Santa e quella del Tempio, avevano la sensazione dell'unità e della pace, mentre i profeti facevano sognare una Gerusalemme nuova dalle porte aperte a tutte le nazioni.
    E Gesù si presenta come colui che realizza le promesse divine, e le aspettative di un popolo la cui storia è tutta segnata dall'alleanza. mai revocata, con il suo Dio.
    L'idea della porta assomiglia e si spiega bene con l'altra immagine usata da Gesù: "Io sono la via, nessuno va al Padre se non attraverso di me". Dunque lui è veramente una strada e una porta aperta sul Padre, su Dio stesso.

"Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo".

    Cosa significa concretamente nella nostra vita questa Parola?
    Sono tante le implicazioni che si deducono da altri passi del Vangelo che hanno attinenza con il brano di Giovanni, ma fra tutte scegliamo quella della porta stretta" attraverso la quale sforzarsi di passare per entrare nella vita.
    Perché questa scelta? Perché ci sembra quella che forse più ci avvicina alla verità che Gesù dice su se stesso e più ci illumina sul come viverla.
    Quando diventa, egli, la porta spalancata, pienamente aperta sulla Trinità? Là dove la porta del cielo sembra chiudersi per lui, egli diviene la porta del cielo per tutti noi.
    Gesù abbandonato è la porta attraverso la quale avviene lo scambio perfetto tra Dio e l'umanità: fattosi nulla, unisce i figli al Padre. E quel vuoto (il vano della porta) per cui l'uomo viene in contatto con Dio e Dio con l'uomo.
    Dunque lui è la porta stretta e la porta spalancata nello stesso tempo, e di questo possiamo fare esperienza.

"Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo".

    Gesù nell'abbandono si è fatto per noi accesso al Padre.
    La parte sua è fatta. Ma per usufruire di tanta grazia anche ognuno di noi deve fare la sua piccola parte, che consiste nell'accostarsi a quella porta e nel passare al di là. Come?
    Quando ci sorprende la delusione o siamo feriti da un trauma o da una disgrazia imprevista o da una malattia assurda, possiamo sempre ricordare il dolore di Gesù che tutte queste prove, e mille altre ancora, ha impersonato.
    Sì, egli è presente in tutto ciò che ha sapore di dolore. Ogni nostro dolore è un suo nome.
    Proviamo, dunque, a riconoscere Gesù in tutte le angustie, le strettoie della vita, in tutte le oscurità, le tragedie personali e altrui, le sofferenze dell'umanità che ci circonda. Sono lui, perché egli le ha fatte sue. Basterà dirgli, con fede: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene", basterà fare qualcosa di concreto per alleviare le "sue" sofferenze nei poveri e negli infelici, per andare oltre la porta, e trovare al di là una gioia mai provata, una nuova pienezza di vita.

Top

Parola di vita – Maggio 1999

La luce s'accende con l'amore

"Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui" (Gv 14,21).

    Nell'ultimo discorso di Gesù, l'amore è al centro: l'amore del Padre per il Figlio, l'amore per Gesù che è osservanza dei suoi comandamenti.

    Coloro che ascoltavano Gesù non facevano fatica a riconoscere nelle sue parole un'eco dei Libri sapienziali: "l'amore è osservanza delle sue leggi" e "facilmente è contemplata -la Sapienza- da chi l'ama". E soprattutto quel manifestarsi a chi lo ama trova il suo parallelo veterotestamentario in Sap 1,2, dove si dice che il Signore si manifesterà a coloro che credono in lui.

    Ora il senso di questa Parola, che proponiamo, è: chi ama il Figlio è amato dal Padre, ed è riamato dal Figlio che si manifesta a lui.

    Tale manifestazione di Gesù chiede però di amare.

    Non si concepisce un cristiano che non abbia questo dinamismo, questa carica d'amore nel cuore. Un orologio non funziona, non dà l'ora - e si può dire che non è neppure un orologio - se non è carico. Così un cristiano che non è sempre nella tensione di amare, non merita il nome di cristiano.

    E questo perché tutti i comandamenti di Gesù si riassumono in uno solo: in quello dell'amore per Dio e il prossimo, nel quale vedere e amare Gesù.

    L'amore non è mero sentimentalismo ma si traduce in vita concreta, nel servizio ai fratelli, specie quelli che ci stanno accanto, cominciando dalle piccole cose, dai servizi più umili.

    Dice Charles de Foucauld: "Quando si ama qualcuno. si è molto realmente in lui, si è in lui con l'amore, si vive in lui con l'amore, non si vive più in sé, si è "distaccati" da sé, "fuori" di sé".

    Ed è per questo amore che si fa strada in noi la sua luce, la luce di Gesù, secondo la sua promessa: "A chi mi ama... mi manifesterò a lui". L'amore è fonte di luce: amando si comprende di più Dio che è amore.

    E questo fa sì che si ami ancora di più e si approfondisca il rapporto con i prossimi.

    Questa luce, questa conoscenza amorosa di Dio è dunque il suggello, la riprova del vero amore. E la si può sperimentare in vari modi, perché in ciascuno di noi la luce assume un colore, una sua tonalità. Ma ha delle caratteristiche comuni: ci illumina sulla volontà di Dio, ci dà pace, serenità, e una comprensione sempre nuova della Parola di Dio. E una luce calda che ci stimola a camminare nella via della vita in modo sempre più sicuro e spedito.

    Quando le ombre dell'esistenza ci rendono incerto il cammino, quando addirittura fossimo bloccati dall'oscurità, questa Parola del Vangelo ci ricorderà che la luce s'accende con l'amore e che basterà un gesto concreto d'amore anche piccolo (una preghiera, un sorriso, una parola) a darci quel barlume che ci permette di andare avanti.

    Quando si va in bicicletta di notte, se ci si ferma si piomba nel buio, ma se ci si rimette a pedalare la dinamo darà la corrente necessaria per vedere la strada.

    Così è nella vita: basta rimettere in moto l'amore, quello vero, quello che dà senza aspettarsi nulla, per riaccendere in noi la fede e la speranza.

Top

Parola di vita – Giugno 1999

Chi perde trova

"Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà" (Mt 10,39).

    Leggendo questa Parola di Gesù vengono in rilievo due tipi di vita: la vita terrena che si costruisce in questo mondo, e la vita soprannaturale data da Dio, attraverso Gesù, vita che non finisce con la morte e che nessuno può togliere.
    Di fronte all'esistenza, allora, si possono avere due atteggiamenti: o attaccarsi alla vita terrena, considerandola come l'unico bene, e saremo portati a pensare a noi stessi, alle nostre cose, alle creature; ci chiuderemo nel nostro guscio, affermando solo il proprio io, e troveremo come conclusione alla fine, inevitabilmente, solo la morte. Oppure, diversamente, credendo che abbiamo ricevuto da Dio un'esistenza ben più profonda e autentica, avremo il coraggio di
vivere in modo da meritare questo dono fino al punto di saper sacrificare la nostra vita terrena per l'altra.

"Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà".

    Quando Gesù ha detto queste parole pensava al martirio. Noi, come ogni cristiano, dobbiamo essere pronti, per seguire il Maestro e rimanere fedeli al Vangelo, a perdere la nostra vita, morendo - se necessario - anche di morte
violenta, e con la grazia di Dio ci sarà data con ciò la vera vita. Gesù per primo ha perso la sua vita" e l'ha ottenuta glorificata. Egli ci ha preavvertito di non temere "quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere
l'anima".
    Oggi ci dice:

"Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà".

    Se leggi attentamente il Vangelo, vedrai che Gesù torna su questo concetto per ben sei volte. Ciò sta a dimostrare che importanza esso abbia e in quale considerazione Gesù lo tenga. Ma l'esortazione a perdere la propria vita non è per Gesù soltanto un invito a sostenere anche il martirio. E una legge fondamentale della vita cristiana.
    Occorre esser pronti a rinunciare a fare di se stessi l'ideale della vita, a rinunciare alla nostra indipendenza egoistica. Se vogliamo essere veri cristiani dobbiamo fare di Cristo il centro della nostra esistenza. E cosa Cristo vuole da
noi? L'amore per gli altri. Se faremo nostro questo suo programma, avremo certamente perso noi stessi e trovato la vita.
    E questo non vivere per sé, non è certamente, come qualcuno può pensare, un atteggiamento rinunciatario e passivo. L'impegno del cristiano è sempre assai grande e il suo senso di responsabilità è totale.

"Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà".

    Fin da questa terra si può fare l'esperienza che nel dono di se stessi, nell'amore vissuto. cresce in noi la vita. Quando avremo speso la nostra giornata al servizio degli altri. quando avremo saputo trasformare il lavoro quotidiano. magari monotono e duro. in un gesto d'amore, proveremo la gioia di sentirci più realizzati.

"Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà".

    Seguendo i comandi di Gesù, che sono tutti imperniati sull'amore, dopo questa breve esistenza troveremo anche quella eterna.
    Ricordiamo quale sarà il giudizio di Gesù nell'ultimo giorno. Egli dirà a quelli che stanno alla sua destra: "Venite, benedetti... perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare...; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi
avete vestito..."
    Per farci partecipi dell'esistenza che non passa, guarderà unicamente se avremo amato il prossimo e riterrà fatto a sé quanto abbiamo fatto ad esso.

    Come vivremo allora questa Parola? Come perderemo sin da oggi la nostra vita per trovarla?
    Preparandoci al grande e decisivo esame per il quale siamo nati.
    Guardiamoci attorno e riempiamo la giornata di atti di amore. Cristo si presenta a noi nei nostri figli, nella moglie, nel marito, nei compagni di lavoro, di partito, di svago, ecc. Facciamo del bene a tutti. E non dimentichiamo quelli di cui veniamo a conoscenza ogni giorno sui giornali o attraverso amici o per mezzo della televisione... Facciamo per tutti qualcosa, secondo le nostre possibilità. E quando quelle ci sembrassero esaurite, potremo ancora pregare per loro. E amore che vale.

Top

Parola di vita – Luglio 1999

La Perla

"Il regno dei cieli é simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra" (Mt 13, 45-46).

   In questa brevissima parabola, Gesù colpisce fortemente l'immaginazione dei suoi ascoltatori. Tutti sapevano il valore delle perle che, assieme all'oro, erano allora quanto di più prezioso si conoscesse.
    In più, le Scritture parlavano della sapienza e cioè della conoscenza di Dio come di qualcosa da non paragonare "neppure a una gemma inestimabile".
    Ma viene in rilievo nella parabola l'avvenimento eccezionale, sorprendente e inatteso che rappresenta per quel commerciante l'aver adocchiato, forse in un bazar, una perla che solo ai suoi occhi esperti aveva un valore enorme e dalla quale perciò poteva ricavare un ottimo profitto. Ecco perché, avendo fatto i suoi calcoli, decide che valeva la pena di vendere tutto per comprare la perla. E chi non avrebbe fatto lo stesso al suo posto?
    Ecco dunque il significato profondo della parabola: l'incontro con Gesù, e cioè con il Regno di Dio fra noi - ecco la perla! -, è quell'occasione unica che bisogna prendere al volo, impegnando fino in fondo tutte le proprie energie e ciò che si possiede.

"Il regno dei cieli e simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra".


    Non è la prima volta che i discepoli si sentono messi di fronte ad un'esigenza radicale e cioè a quel tutto che bisogna lasciare per seguire Gesù: i beni più preziosi quali gli affetti familiari, la sicurezza economica, le garanzie per il futuro. Ma la sua non è una richiesta immotivata e assurda.
    Per un "tutto" che si perde c'è un "tutto" che si trova, inestimabilmente più prezioso. Ogni volta che Gesù domanda qualcosa, promette anche di dare molto, molto di più, in misura sovrabbondante.
Così con questa parabola ci assicura che avremo tra le mani un tesoro che ci farà ricchi per sempre.
    E, se può sembrare un errore lasciare il certo per l'incerto, un bene sicuro per un bene solo promesso, pensiamo a quel mercante: egli sa che quella perla è molto preziosa ed attende fiducioso ciò che gli procurerà trafficandola.
    Così chi vuol seguire Gesù sa, vede, con gli occhi della fede, quale immenso guadagno sarà condividere con lui l'eredità del Regno per aver tutto lasciato almeno spiritualmente.
A tutti gli uomini Dio offre nella vita un'occasione del genere perché la sappiano afferrare.

"Il regno dei cieli e simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra".


    E' un invito concreto a mettere da parte tutti quegli idoli che nel cuore possono prendere il posto di Dio: carriera, matrimonio, studi, una bella casa, la professione, lo sport, il divertimento.
    E' un invito a mettere Dio al primo posto, al vertice di ogni nostro pensiero, di ogni nostro affetto perché tutto nella vita deve convergere a lui e tutto da lui deve discendere.
    Facendo così, cercando il Regno. secondo la promessa evangelica, il resto ci sarà dato in sovrappiù. Accantonando tutto per il Regno di Dio riceviamo il centuplo in case, fratelli, sorelle, padri e madri, perché il Vangelo ha una chiara dimensione umana: Gesù è uomo-Dio e insieme al cibo spirituale ci assicura il pane, la casa, il vestito, la famiglia.
    Forse dovremmo imparare dai "piccoli" a fidarci di più della Provvidenza del Padre, che non fa mancare nulla a chi dà, per amore, tutto quel poco che ha.
    In Congo un gruppo di ragazzi fabbricano da alcuni mesi cartoline artistiche con la scorza di banana, vendute poi in Germania. In un primo momento trattengono tutto il ricavato (qualcuno mantiene con ciò l'intera famiglia). Ora hanno deciso di mettere il 50 per cento in comune e 35 giovani disoccupati hanno ricevuto un aiuto.
    E Dio non si lascia vincere in generosità: due di questi ragazzi hanno dato una tale testimonianza nel negozio ove sono impiegati, che diversi commercianti, in cerca di personale, si sono rivolti a quel negozio. Ben in undici hanno così trovato un lavoro fisso.

Top

Parola di vita - Agosto 1999

Egli mantiene le promesse

"E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45).

    Questa Parola fa parte di un avvenimento semplice e altissimo al tempo stesso: è l'incontro fra due gestanti, fra due madri, la cui simbiosi spirituale e fisica con i loro figli è totale. Sono esse la loro bocca, i loro sentimenti. Quando parla Maria, il bambino di Elisabetta fa un balzo di gioia nel suo ventre. Quando parla Elisabetta sembra che le parole le siano messe sulle labbra dal Precursore. Ma mentre le prime parole del suo inno di lode a Maria sono rivolte personalmente alla madre del Signore, le ultime sono dette in terza persona: "Beata colei che ha creduto".
    Così la sua affermazione "acquista carattere di verità universale: la beatitudine vale per tutti i credenti, concerne coloro che accolgono la Parola di Dio e la mettono in pratica e che trovano in Maria il modello ideale" (1).

"E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore".

    È la prima beatitudine del Vangelo che riguarda Maria, ma anche tutti coloro che la vogliono seguire e imitare.
    C'è uno stretto legame, in Maria, tra fede e maternità, come frutto dell'ascolto della Parola. E Luca qui ci suggerisce qualcosa che riguarda anche noi. Più avanti nel suo Vangelo Gesù dice: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica" (2).
    Anticipando quasi queste parole, Elisabetta, mossa dallo Spirito Santo, ci annuncia che ogni discepolo può diventare "madre" del Signore. La condizione è che creda alla Parola di Dio e che la viva.

"E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore".

    Maria, dopo Gesù, è colei che meglio e più perfettamente ha saputo dire "sì" a Dio. E soprattutto questa la sua santità e la sua grandezza. E se Gesù è il Verbo, la Parola incarnata, Maria, per la sua fede nella Parola è la Parola vissuta, ma creatura come noi, uguale a noi.
    Il ruolo di Maria come madre di Dio è eccelso e grandioso. Ma Dio non chiama solo la Vergine a generare Cristo in sé. Seppure in altro modo, ogni cristiano ha un simile compito: quello di incarnare Cristo fino a ripetere, come san Paolo: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (3).
    Ma come attuare ciò?
    Con l'atteggiamento di Maria verso la Parola di Dio e cioè di totale disponibilità. Credere dunque, con Maria, che si realizzeranno tutte le promesse contenute nella Parola di Gesù e affrontare, come Maria, se occorre, il rischio dell'assurdo che alle volte la sua Parola comporta.
    Grandi e piccole cose, ma sempre meravigliose, accadono a chi crede nella Parola. Si potrebbero riempire dei libri con i fatti che lo provano.
    Chi può dimenticare quando, in piena guerra, credendo alle parole di Gesù "chiedete e vi sarà dato" (4) abbiamo chiesto tutto quello di cui tanti poveri in città avevano bisogno e vedevamo arrivare sacchi di farina, scatole di latte, di marmellata, legna, vestiario?
    Anche oggi accadono le stesse cose. "Date e vi sarà dato" (5) e i magazzini della carità sono sempre pieni, essendo regolarmente svuotati.
    Ma ciò che colpisce di più è come le parole di Gesù sono vere sempre e dovunque. E l'aiuto di Dio arriva puntuale anche in circostanze impossibili, e nei punti più isolati della Terra, come è accaduto poco tempo fa ad una madre che vive in grande povertà. Un giorno si è sentita spinta a dare i suoi ultimi soldi ad una persona più povera di lei. Credeva a quel "date e vi sarà dato" del Vangelo. E aveva una grande pace nell'animo. Poco dopo è arrivata la sua bambina più piccola e le ha mostrato un dono appena ricevuto da un anziano parente che, per caso, era passato di lì: nella sua manina c'erano i soldi moltiplicati.
    Una "piccola" esperienza come questa ci spinge a credere nel Vangelo; e ciascuno di noi può provare quella gioia, quella beatitudine che viene dal vedere realizzate le promesse di Gesù.
    Quando, nella vita di tutti i giorni, nella lettura delle Sacre Scritture ci incontreremo con la Parola di Dio, apriamo il nostro cuore all'ascolto, con la fede che ciò che Gesù ci chiede e promette si avvererà. Non tarderemo a scoprire, come Maria e come quella madre, che egli mantiene le sue promesse.

1) G. Rossé, Il Vangelo di Luca, Roma, 1992, p. 67; 2) Lc 8,21; 3) Gal 2,20; 4) Mt 7,7; 5) Lc 6,38

Top

Parola di vita - Settembre 1999

Quanto perdonare

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette" (Mt 18,22).

    Gesù con queste sue parole risponde a Pietro che, dopo aver ascoltato cose meravigliose dalla sua bocca, gli ha posto questa domanda: "Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? fino a sette volte?". E Gesù: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".
    Pietro, probabilmente, sotto l'influenza della predicazione del Maestro, aveva pensato di lanciarsi, buono e generoso com'era, nella sua nuova linea, facendo qualcosa di eccezionale: arrivando a perdonare fino a sette volte. Nel giudaismo infatti si ammetteva un perdono di due, tre volte, al massimo quattro.
    Ma Gesù rispondendo: "...fino a settanta volte sette", dice che per lui il perdono deve essere illimitato: occorre perdonare sempre.

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

    Questa Parola fa ricordare il canto biblico di Lamech, un discendente di Adamo: "Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette" . Così inizia il dilagare dell'odio nei rapporti fra gli uomini del mondo: ingrossa come un fiume in piena.
    A questo dilagare del male, Gesù oppone il perdono senza limite, incondizionato, capace di rompere il cerchio della violenza.
    Il perdono è l'unica soluzione per arginare il disordine e aprire all'umanità un futuro che non sia l'autodistruzione.

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

    Perdonare. Perdonare sempre. Il perdono non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l'ha commesso. Il perdono non consiste nell'affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male.
    Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell'accogliere il fratello e la sorella così com'è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all'offesa con l'offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male".
    Il perdono consiste nell'aprire a chi ti fa un torto la possibilità d'un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d'aver un avvenire in cui il male non abbia l'ultima parola.

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

    Come si farà allora a vivere questa Parola?
    Pietro aveva chiesto a Gesù: "Quante volte dovrò perdonare a mio fratello?"; "... a mio fratello".
    E Gesù, rispondendo, aveva di mira, dunque, soprattutto i rapporti fra cristiani, fra membri della stessa comunità.
    È dunque prima di tutto con gli altri fratelli e sorelle nella fede che bisogna comportarsi così: in famiglia, sul lavoro, a scuola o nella comunità di cui si fa parte.
    Sappiamo quanto spesso si vuole compensare con un atto, con una parola corrispondente, l'offesa subita.
    Si sa come per diversità di carattere, o per nervosismo, o per altre cause, le mancanze di amore sono frequenti fra persone che vivono insieme. Ebbene, occorre ricordare che solo un atteggiamento di perdono, sempre rinnovato, può mantenere la pace e l'unità tra fratelli.
    Ci sarà sempre la tendenza a pensare ai difetti delle sorelle e dei fratelli, a ricordarsi del loro passato, a volerli diversi da come sono... Occorre far l'abitudine a vederli con occhio nuovo e nuovi loro stessi, accettandoli sempre, subito e fino in fondo, anche se non si pentono.
    Si dirà: "Ma ciò è difficile". Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla siamo alla sequela di Cristo che, sulla croce, ha chiesto perdono al Padre per coloro che gli avevano dato la morte, ed è risorto.
    Coraggio. Iniziamo una vita così, che ci assicura una pace mai provata e tanta gioia sconosciuta.

Top

Parola di vita - Ottobre 1999

L'hai fatto a me

"Amerai il prossimo tuo came te stesso" (Mt 22,39).

    Questa Parola la si trova già nell'Antico Testamento.
    Per rispondere ad una domanda insidiosa, Gesù si inserisce nella grande tradizione profetica e rabbinica che era alla ricerca del principio unificatore della Torah, e cioè dell'insegnamento di Dio contenuto nella Bibbia. Rabbi Hillel, un suo contemporaneo, aveva detto: "Non fare al prossimo tuo ciò che è odioso a te, questa è tutta la legge. lì resto è solo spiegazione".
    Per i maestri dell'ebraismo l'amore del prossimo deriva dall'amore a Dio che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, per cui non si può amare Dio senza amare la sua creatura: questo è il vero motivo dell'amore del prossimo, ed è "un grande e generale principio nella legge".
    Gesù ribadisce questo principio e aggiunge che il comando di amare il prossimo è simile al primo e più grande comandamento, quello cioè di amare Dio con tutto il cuore, la mente e l'anima. Affermando una relazione di somiglianza fra i due comandamenti Gesù li salda definitivamente e così farà tutta la tradizione cristiana; come dirà lapidariamente l'apostolo Giovanni: "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede".

"Amerai il prossimo tuo come te stesso".

    Prossimo - lo dice chiaramente tutto il Vangelo - è ogni essere umano, uomo o donna, amico o nemico, al quale si deve rispetto, considerazione, stima. L'amore del prossimo è universale e personale al tempo stesso. Abbraccia tutta l'umanità e si concreta in colui-che-ti-sta-vicino.
    Ma chi può darci un cuore così grande, chi può suscitare in noi una tale benevolenza da farci sentire vicini - prossimi - anche coloro che sono più estranei a noi, da farci superare l'amore di sé, per vedere questo sé negli altri? È un dono di Dio, anzi è lo stesso amore di Dio che "è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato".
    Non è quindi un amore comune, non una semplice amicizia, non la sola filantropia, ma quell'amore che è versato sin dal battesimo nei nostri cuori: quell'amore che è la vita di Dio stesso, della Trinità beata, al quale noi possiamo partecipare.
    Dunque l'amore è tutto, ma per poterlo vivere bene occorre conoscere le sue qualità che emergono dal Vangelo e dalla Scrittura in genere e che ci sembra poter riassumere in alcuni aspetti fondamentali.
    Per prima cosa Gesù, che è morto per tutti, amando tutti, ci insegna che il vero amore va indirizzato a tutti. Non come l'amore che viviamo noi tante volte, semplicemente umano, che ha un raggio ristretto: la famiglia, gli amici, i vicini... L'amore vero che Gesù vuole non ammette discriminazioni: non distingue tanto la persona simpatica dall'antipatica, non c'è per esso il bello, il brutto, il grande o il piccolo; per questo amore non c'è quello della mia patria o lo straniero, quello della mia chiesa o di un'altra, della mia religione o di un'altra. Tutti ama quest'amore. E così dobbiamo fare noi: amare tutti.
    L'amore vero, ancora, ama per primo, non aspetta di essere amato, come in genere è dell'amore umano: si ama chi ci ama. No, l'amore vero prende l'iniziativa, come ha fatto il Padre quando, essendo noi ancora peccatori, quindi non amanti, ha mandato il Figlio per salvarci.
    Quindi: amare tutti e amare per primi.
    E ancora: l'amore vero vede Gesù in ogni prossimo: "L'hai fatto a me" ci dirà Gesù al giudizio finale. E ciò vale per il bene che facciamo e anche per il male purtroppo.
    L'amore vero ama l'amico e anche il nemico: gli fa del bene, prega per lui.
    Gesù vuole anche che l'amore che egli ha portato sulla Terra diventi reciproco: che l'uno ami l'altro e viceversa, sì da arrivare all'unità.
    Tutte queste qualità dell'amore ci fanno capire e vivere meglio la parola di vita di questo mese.

"Amerai il prossimo tuo come te stesso".

Sì, l'amore vero ama l'altro come se stesso. E ciò va preso alla lettera: occorre proprio vedere nell'altro un altro sé e fare all'altro quello che si farebbe a sé stessi. L'amore vero è quello che sa soffrire con chi soffre, godere con chi gode, portare i pesi altrui, che sa, come dice Paolo, farsi uno con la persona amata. E un amore, quindi, non solo di sentimento, o di belle parole, ma di fatti concreti.
    Chi ha un altro credo religioso cerca pure di fare così per la cosiddetta "regola d'oro" che ritroviamo in tutte le religioni. Essa vuole che si faccia agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi. Gandhi la spiega in modo molto semplice ed efficace: "Non posso farti del male senza ferirmi io stesso".
    Questo mese, dunque, deve essere un'occasione per rimettere a fuoco l'amore del prossimo, che ha così tanti volti: dal vicino di casa, alla compagna di scuola, dall'amico alla parente più stretta. Ma ha anche i volti di quell'umanità angosciata che la tv porta nelle nostre case dai luoghi di guerra e di catastrofi naturali. Una volta erano sconosciuti e     lontani mille miglia. Ora sono divenuti anch'essi nostri prossimi.
    L'amore ci suggerirà volta per volta cosa fare, e dilaterà a poco a poco il nostro cuore sulla misura di quello di Gesù.

Top

Parola di vita - Novembre 1999

L'amore che purifica

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio"(Mt 5,8).

    L'amore che purificaLa predicazione di Gesù si apre col discorso della montagna. Davanti al lago di Tiberiade su una collina nei pressi di Cafarnao, seduto, come usavano fare i maestri, Gesù annuncia alle folle l'uomo delle beatitudini. Più volte nell'Antico Testamento risuonava la parola "beato" e cioè l'esaltazione di colui che adempiva, nei modi più vari, la Parola del Signore.
    Le beatitudini di Gesù riecheggiavano in parte quelle che i discepoli già conoscevano; ma per la prima volta essi sentivano che i puri di cuore, non solo, come cantava il Salmo, erano degni di salire sul monte del Signore, ma addirittura potevano vedere Dio. Quale era dunque quella purezza così alta da meritare tanto? Gesù l'avrebbe spiegato più volte nel corso della sua predicazione. Cerchiamo perciò di seguirlo per attingere alla fonte dell'autentica purezza.

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio".

    Anzitutto, secondo Gesù, vi è un mezzo sovrano di purificazione: "Voi siete già mondi in virtù della Parola che vi ho annunziato" . Non sono tanto degli esercizi rituali a purificare l'animo, ma la sua Parola. La Parola di Gesù non è come le parole umane. In essa è presente Cristo, come, in altro modo, è presente nell'Eucaristia. Per essa Cristo entra in noi e, finché la lasciamo agire, ci rende liberi dal peccato e quindi puri di cuore.
    Dunque la purezza è frutto della Parola vissuta, di tutte quelle Parole di Gesù che ci liberano dai cosiddetti attaccamenti, nei quali necessariamente si cade, se non si ha il cuore in Dio e nei suoi insegnamenti. Essi possono riguardare le cose, le creature, se stessi. Ma se il cuore è puntato su Dio solo, tutto il resto cade.
    Per riuscire in questa impresa, può essere utile, durante la giornata, ripetere a Gesù, a Dio, quell'invocazione del Salmo che dice: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene". Proviamo a ripeterlo spesso, e soprattutto quando i vari attaccamenti vorrebbero trascinare il nostro cuore verso quelle immagini, sentimenti e passioni che possono offuscare la visione del bene e toglierci la libertà.
    Siamo portati a guardare certi cartelloni pubblicitari, a seguire certi programmi televisivi? No, diciamogli: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene" e sarà questo il primo passo che ci farà uscire da noi stessi, ri-dichiarando il nostro amore a Dio. E così avremo acquistato in purezza.
    Avvertiamo a volte che una persona o un'attività si frappongono, come un ostacolo, fra noi e Dio e inquinano il nostro rapporto con lui? È il momento di ripetergli: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene". Questo ci aiuterà a purificare le nostre intenzioni e a ritrovare la libertà interiore.

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio".

    La Parola vissuta ci rende liberi e puri perché è amore. È l'amore che purifica, con il suo fuoco divino, le nostre intenzioni e tutto il nostro intimo, perché il "cuore" secondo la Bibbia è la sede più profonda    dell'intelligenza  e della volontà.
    Ma c'è un amore che Gesù ci comanda e che ci permette di vivere questa beatitudine. È l'amore reciproco, di chi è pronto a dare la vita per gli altri, sull'esempio di Gesù. Esso crea una corrente, uno scambio, un'atmosfera la cui nota dominante è proprio la trasparenza, la purezza, per la presenza di Dio che, solo, può creare in noi un cuore puro. E' vivendo l'amore scambievole che la Parola agisce con i suoi effetti di purificazione e di santificazione.
    L'individuo isolato è incapace di resistere a lungo alle sollecitazioni del mondo, mentre nell'amore vicendevole trova l'ambiente sano, capace di proteggere la sua purezza e tutta la sua autentica esistenza cristiana.

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio".

    Ed ecco il frutto di questa purezza, sempre riconquistata: si può "vedere" Dio, cioè capire la sua azione nella nostra vita e nella storia, sentire la sua voce nel cuore, cogliere la sua presenza là dove è: nei poveri, nell'Eucaristia, nella sua Parola, nella comunione fraterna, nella chiesa.
    È un pregustare la presenza di Dio che comincia già da questa vita "camminando nella fede e non ancora in visione" fino a quando "vedremo faccia a faccia" eternamente.

Top

Parola di vita- Dicembre 1999

Ma lui può

"Nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,37).

    La domanda di Maria, all'annuncio dell'Angelo: "Com'è possibile questo?" ebbe come risposta: "Nulla è impossibile a Dio" e, a riprova di ciò, le venne portato l'esempio di Elisabetta, che nella sua vecchiaia aveva concepito un figlio. Maria credette e divenne la Madre del Signore.
    Dio è onnipotente: questo suo nome si incontra frequentemente nella Sacra Scrittura ed è usato quando si vuole esprimere la potenza di Dio nel benedire, nel giudicare, nel dirigere il corso degli eventi, nel realizzare i suoi disegni.
C'è un solo limite all'onnipotenza di Dio: la libertà umana, che si può opporre alla di lui volontà rendendo l'uomo impotente, mentre sarebbe chiamato a condividere la stessa forza di Dio.

"Nulla è impossibile a Dio".

    É questa una Parola che viene opportunamente a concludere per la Chiesa cattolica l'anno del Padre prima del Giubileo del Duemila. E' una Parola, infatti, che ci apre ad una confidenza illimitata nell'amore di Dio-Padre, perché, se Dio è e il suo essere è Amore, la fiducia completa in lui non ne è che la logica conseguenza.
    Tutte le grazie sono in suo potere: temporali e spirituali, possibili e impossibili. Ed egli le dà a chi le chiede e anche a chi non chiede, perché, come dice il Vangelo, egli, il Padre, "fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni" e a noi tutti chiede di agire come lui, con lo stesso amore universale, sostenuto dalla fede che "nulla è impossibile a Dio".

    Come vivere dunque questa Parola nella vita di ogni giorno?
    Noi tutti dobbiamo affrontare di quando in quando situazioni difficili, dolorose, sia nella nostra vita personale, sia nei rapporti con gli altri. E sperimentiamo a volte tutta la nostra impotenza perché avvertiamo in noi degli attaccamenti a cose e persone che ci rendono schiavi di legami da cui vorremmo liberarci. Ci troviamo spesso di fronte ai muri dell'indifferenza e dell'egoismo e ci sentiamo cadere le braccia di fronte ad avvenimenti che sembrano superarci.
    Ebbene, in questi momenti, la Parola di vita può venirci in aiuto. Gesù ci lascia fare l'esperienza della nostra incapacità, non già per scoraggiarci, ma per aiutarci a capire meglio che "nulla è impossibile a Dio"; per prepararci a sperimentare la straordinaria potenza della sua grazia, che si manifesta proprio quando vediamo che con le nostre povere forze non possiamo farcela.

    "Nulla è impossibile a Dio".

    Ripetendoci questo nei momenti più critici, ci verrà dalla Parola di Dio quell'energia che essa racchiude in sé, facendoci partecipare in qualche modo della stessa onnipotenza di Dio. Ad un patto, però, e cioè che si viva la sua volontà, cercando di irradiare attorno a noi quell'amore che è deposto nei nostri cuori. Così saremo all'unisono con l'Amore onnipotente di Dio per le sue creature, al quale tutto è possibile, ciò che concorre a realizzare i suoi piani sui singoli e sull'umanità.
    Ma c'è un momento speciale per poter vivere questa Parola e per sperimentarne tutta l'efficacia: è nella preghiera.
    Gesù ha detto che qualsiasi cosa chiederemo al Padre in nome suo egli ce la concederà. Proviamo dunque a chiedergli ciò che ci sta più a cuore con la certezza di fede che a lui nulla è impossibile: dalla soluzione di casi disperati, alla pace nel mondo; dalle guarigioni da malattie gravi, alla ricomposizione di conflitti familiari e sociali.
    Se poi siamo in più a chiedere la stessa cosa, in pieno accordo per l'amore reciproco, allora è Gesù stesso in mezzo a noi che prega il Padre e, secondo la sua promessa, otterremo.
    Con tale fede nell'onnipotenza di Dio e nel suo Amore, anche noi chiedemmo un giorno per N. che quel tumore, visto su una radiografia, "scomparisse", quasi fosse un errore o un fantasma. E così avvenne.
    Questa fiducia sconfinata che ci fa sentire nelle braccia di un Padre al quale tutto è possibile, deve accompagnare sempre le vicende della nostra vita. Non è detto che otterremo sempre ciò che chiederemo. La sua è l'onnipotenza di un Padre e la usa sempre e soltanto per il bene dei suoi figli, che essi lo sappiano o no. L'importante è vivere coltivando la certezza che a Dio nulla è impossibile e questo ci farà sperimentare una pace mai provata.


Back       Top